I luoghi letterari della città - Parigi Controcorrente 2020

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È impossibile mettere in queste poche pagine tutti i luoghi della Parigi letteraria, non basterebbe un intero volume per quello, ci limitiamo a menzionarne alcuni…       
La Senna - Moltissimi scrittori hanno reso la Senna un luogo letterario. Oggi ha l’apparenza di un lungo fiume tranquillo, le cui acque, spesso sporche, sembrano immobili, ma il paesaggio che ammiriamo attualmente è molto cambiato nei secoli. Prima dei grandi lavori di Haussmann sulle rive c’erano gli abbeveratoi e i mulini, che hanno lasciato il posto al lungofiume e agli alberi della passeggiata.
Apollinaire non si stancava mai di guardarla, l’ha cantata nei suoi aspetti diurni e notturni, definendola un “fiume adorabile”. Anche Chateaubriand ne era innamorato e quando attraversava i ponti aveva l’impressione di camminare in mezzo alle sue acque. Nelle belle giornate di primavera si appoggiava a uno dei parapetti e guardava scorrere la corrente, senza desiderare altro che restare lì seduto a prendere il sole.
I surrealisti chiamavano la Senna ‘il serpente Melusina’, la creatura magica la cui bellezza affascinante poteva portare alla morte. Il fiume rappresentava una frontiera liquida fra due mondi incompatibili.

Anche Zola ha parlato della Senna, nel romanzo Aux Bonheur des dames, l’undicesimo del ciclo dei Rougon Macquart. L’autore ha descritto il ristorante Julien che sorgeva sull’isola Fanac, a Joinville-le-Pont. Léon-Paul Fargue, invece, ha svelato le sue contemplazioni del fiume con un tono dolce e malinconico: “Quante volte, in attesa dell’alba, mi sono appoggiato col gomito alla balaustrata del Pont-Neuf, così vecchio, così nobile, così screpolato, nell’ombra piacevole del cavaliere di bronzo. Lasciavo scorrere lo sguardo sulla superficie della Senna, specchio lucente di ricordi e di mormorii, i cui riflessi rappresentavano per me le immagini e gli acquerelli di cronache del passato. Il suo aspetto marezzato evocava tante cose, e quando levavo gli occhi sul Louvre dei Valois, così puro e così bello, ogni parte della mia sensibilità mi urlava che il passato esiste, che sonnecchia imbalsamato sotto il vetro dei secoli e non aspetta altro che un segno per cominciare a intonare, con la voce dei suoi fantasmi,la nenia degli avvenimenti che non muoiono mai…”   

I ristoranti degli scrittori - Nel 1582, sotto il regno di Enrico II, al numero 15 di rue de la Tornelle – attuale quai de la Tournelle - aveva aperto l’hostellerie de la Tour d’Argent, nel punto in cui attraccava il battello fluviale trainato da cavalli proveniente da Fontainebleau. C’era il cabaret con gli spettacoli, si mangiavano buoni piatti e si passeggiava lungo la Senna. Ci veniva anche il re, che ha scoperto qui l’uso della forchetta,  mai adoperata prima. Il menu prevedeva piatti quali la carne di cigno in gelatina, le cosce di gru alle prugne, la biscia d’acqua in casseruola... Il piatto per cui il ristorante era famoso, tuttavia, era l’anatra al sangue. Negli anni successivi, esso è stato fra i primi a far conoscere ai clienti il cioccolato in tazza e il caffè.

Nell’800 il locale era frequentato da numerose celebrità letterarie, fra cui George Sand, Alfred de Musset e Victor Hugo. Un giorno, quest’ultimo si è divertito a declamare ad alta voce una frase dal suo dramma Lucrezia Borgia: “Signori, vengo a recarvi una notizia, la notizia che tutti quanti siete avvelenati e che non un solo di voi ha più di un’ora di tempo da vivere…”. La frase ha sortito il suo effetto e i camerieri sono dovuti intervenire a rassicurare i clienti preoccupati di essere davvero stati intossicati. Proprio a causa delle frequentazioni letterarie del ristorante, il titolare aveva avuto l’idea di chiamare alcuni piatti con il nome di scrittori celebri. Così c’era il passato di verdure Anatole France, la crostata di salmone Sarah Bernhardt, il paté di airone Alexandre Dumas….

L’Ile de la Cité - È l’insediamento più antico di Parigi e, come tale, è il più ricco di storia. Fra la rue Chanoinesse, la rue des Chantres e la Senna si trovava la casa del canonico Fulbert, zio di Eloisa, che ha amato Abelardo sfidando le proibizioni della chiesa. Il loro è stato un legame simbolo dell’amore divino e dell’amore profano. Sulla porta della casa ottocentesca al numero 9 del quai aux Fleurs ci sono due medaglioni raffiguranti i celebri amanti.
Sull’isola c’erano molte istituzioni religiose e davanti a Notre-Dame venivano messi in scena degli spettacoli teatrali di carattere sacro. Nel Medioevo queste rappresentazioni si tenevano davanti alle chiese, su di un palco innalzato contro il portale d’ingresso, con le statue della facciata come sfondo. Purtroppo, però, secondo San Bernardo, i chierici preferivano il “clicchettio delle cinture dorate e delle fibbie  delle donne debosciate” agli spettacoli sacri e ai canti salmodianti.

“Fra i diversi siti che mi ispirano – ha scritto l’etnografo e scrittore surrealista Michel Leiris in Biffures (Cancellature) - c’è la piazza del Vert-Galant, che occupa tutta la punta dell’isola e il cui triangolo, che si restringe a filo dell’acqua, sostiene una massa di alberi fitti sotto ai quali ci sono le panche per chi viene a passeggio. È un angolo di paradiso propizio ai conciliaboli degli amanti…”..
Fra i luoghi dell’isola preferiti da Balzac c’era il Terrain, un luogo abbandonato che ospitava le rovine dell’Archevêché e dove passava la malinconica rue Chanoinesse, dove “i venti provenienti da est si infilano senza incontrare ostacoli, e dove le nebbie della Senna  sono in qualche modo trattenute dalle nere pareti della vecchia chiesa metropolitana”. Lo scrittore prediligeva anche la Conciergerie, con “le sue mura nere e le torrette d’angolo, due delle quali sono quasi appaiate, ornamento cupo e misterioso del quai des Lunettes, con il suo cortile anticamera del patibolo.” All’interno del Palazzo di giustizia Balzac si soffermava nella tetra sala ‘des Pas perdu’, che con le scale strette e i corridoi bui dove tenevano i testimoni faceva orrore…

L’Ile Saint-Louis - Sembra quasi un battello ormeggiato in mezzo al fiume. I vecchi palazzi si sono preservati intatti, i negozi sono raggruppati nella strada centrale, così le altre vie non hanno un aspetto commerciale. Rétif de la Bretonne conosceva ogni luogo dell’isola e aveva la mania di incidere sui parapetti dei pro-memoria a uso personale. Vi scriveva i nomi delle donne con cui aveva appuntamento e le date di questi appuntamenti, ma anche i progressi e le difficoltà dei suoi lavori letterari. Era un graffitaro ante litteram, insomma.
Baudelaire, che nella sua vita ha cambiato una cinquantina di residenze, ha abitato al numero 17 del quai d’Anjou, nel palazzo che oggi si chiama hôtel Lauzun. In questo luogo, il poeta si lasciava trasportare con la fantasia dalle fredde sponde della Senna alle rive infuocate del Gange, lontano dalla città che amava e odiava. Nella vicina rue Le Regrattier, che allora si chiamava rue de la Femme-sans-Tête, viveva la sua amante, la danzatrice haitiana Jeanne Duval.

Il fotografo Nadar ha descritto Baudelaire come un damerino sempre elegante e questa ricercatezza era la causa principale dei suoi debiti. Per evitarli, la madre e il patrigno avevano vincolato la sua eredità. Nei Tableaux parisiens Baudelaire ha descritto bene gli sconvolgimenti causati dai lavori di Haussmann. “Paris change! Mais rien dans ma mélancolie/ N’a bougé! Palais neufs, échaufaudages, blocs/ Vieux faubourgs, tout pour moi devient allégorie,/ Et mes chers souvenirs sont plus lourds que de rocs. (Parigi cambia ! ma niente nella mia malinconia,/ è cambiato! Palazzi nuovi, impalcature, blocchi,/ vecchi sobborghi, tutto per me diventa allegoria,/ e i miei cari ricordi son più pesanti delle rocce.)

Il Quartiere latino - Huysmans ha scritto che la chiesa di Saint Severin, dove lui era stato battezzato il 6 febbraio del 1848, si ergeva piccola e delicata in mezzo alle taverne malfamate, in un quartiere “dedito al satanismo”.  Al tempo di Huysmans, infatti, attorno all’edificio religioso c’era un intrico di stradine scure su cui si affacciavano delle vecchie case annerite, da cui entravano e uscivano in continuazione delle torme di “sacripanti” che combinavano misfatti e si ubriacavano in compagnia di prostitute. Al numero 11 di rue de la Huchette c’era il ristorante Bouillon, definito da Huysmans “il cafè Anglais degli indigenti”.
Nel libro dal titolo Parigi ridicola del 1668 Claude Le Petit, arso vivo a ventiquattro anni per aver parlato male della religione, aveva descritto così la stessa via:
Voici la rue de la Huchette,
Mais prend bien garde à ta pochette,
Autrement on te l’attrapera
Et sans doute on te dupera
Car en ce lieu-là c’est la source
D’où sortent les coupeurs de bourse. *

*Traduzione: Ecco rue de la Huchette/ Ma fai attenzione al portafoglio/ Altrimenti te lo prenderanno/ E senza dubbio ti inganneranno/ Perché da quel luogo provengono/  Tutti i tagliaborse.

Quasi un secolo più tardi, Louis-Sebastien Mercier, nel suo Tableau de Paris, scriveva invece che “a Parigi non c’è niente di più piacevole di rue de la Huchette, delle sue rosticcerie che emanano un profumo appetitoso. A ogni ora del giorno vi si trovano dei polli ad arrostire sugli spiedi, che si muovono piano sopra al fuoco del girarrosto”.
Al vicino Hôtel du Mont-Blanc, che oggi non esiste più, hanno abitato Hemingway, Henry Miller e Pablo Neruda. In rue de la Parcheminerie, che un tempo si chiamava rue des Ecrivains, c’erano gli scrivani pubblici, i librai, i miniatori e i venditori di pergamene, da cui la via ha preso il nome.  Nella vicina place Maubert, il 5 agosto del 1546, era stato bruciato vivo il filosofo e tipografo Etienne Dolet perché aveva tradotto male Platone. L’ordine era stato dato dal re Francesco I in persona.
Al centro della piazza era stata eretta una statua per ricordarlo.

Nel 1202, quando era stata aperta, rue du Fouarre (foto: 6, rue du Fouarre università Google virtual tourist) si chiamava rue des Escholiers. A quel tempo molti studenti assistevano alle lezioni all’aperto, seduti su delle balle di paglia, perché all’interno le aule erano già strapiene. Gli studenti erano inglesi, irlandesi, danesi… In mezzo a loro, a seguire i dibattiti, c’erano anche degli scrittori e dei filosofi illustri, come Dante, Petrarca, Tommaso d’Aquino, Rabelais e François Villon. Nel cuore di questo quartiere c’è la chiesa di Saint-Julien-le-Pauvre, costruita nel 1240.
Di fronte al numero 30 di rue des Fossés-Saint-Bernard c’era l’Hôtel de Bazancourt, detto Hôtel des Haricots, adibito a casa di reclusione. Nel mese di maggio del 1836 vi era stato imprigionato anche Balzac, che divideva la cella con Eugène Sue, a lui cordialmente antipatico. Ma Sue aveva i soldi per fare arrivare i pasti da fuori e gliene offriva una parte, e lui, malgrado l’antipatia, naturalmente accettava. I due scrittori si trovavano in carcere perché si erano rifiutati di entrare nella guardia nazionale.

Jardin des Plantes - All’ingresso del parco e dell’orto botanico, al 57 di rue Cuvier, c’è la statua di Bernardin de Saint-Pierre, che lo raffigura seduto contro un tronco d’albero dalla scorza rugosa. Fedele alla mitologia esotica del tempo, nel 1793 egli aveva aperto un serraglio di animali provenienti da paesi lontani. Il doganiere Rousseau veniva qui a copiarli. Anche Alfred de Musset provava una grande attrazione per questo luogo, dove c’erano le palme piantate dentro i vasi e diverse piante straniere. Nel 1852 egli si trovava qui con Louise Colet. Quando sono passati davanti alla fossa dei leoni, lo scrittore, che era anche un grande coureur de femmes, le ha detto: “Si nous nous cajolions?” (Se ci coccolassimo un po’?). Non sembra che lei sia stata d’accordo, almeno non in quell’occasione, anche se de Musset è stato uno dei suoi amanti. Chateaubriand veniva a passeggiare sotto i grandi alberi che gli ricordavano quelli che aveva visto in America e che lo facevano fantasticare….

Di fronte al Jardin des Plantes c’era l’antico arsenale delle polveri, diventato ospedale per i poveri nel 1654 con lo stesso nome. Vi venivano anche ricoverate le prostitute e le donne accusate di adulterio. Con questa imputazione, spesso falsa, i mariti si liberavano di loro. Nella famosa opera dell’abbé Prévost dal titolo Histoire du chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut, scritta nel1731, c’è una situazione di questo genere. La protagonista, infatti,  viene rinchiusa in questo ospedale per il suo penchant au plaisir e viene poi liberata dal suo cavaliere. Il padiglione degli Incurabili porta ancora oggi il nome di Manon Lescaut e nel cortile c’è il pozzo detto ‘Manon des sources’.

Alla fine del ‘700, l’ospedale era stato destinato al recupero dei malati mentali e il dottor Charcot veniva a tenere delle conferenze sull’isteria.  Ad esse partecipavano anche Sigmund Freud e Guy de Maupassant. Le conferenze erano accompagnate da dimostrazioni dal vivo, con le pazienti che si dimenavano, urlavano, si torcevano le mani e assumevano delle posture oscene. Charcot ha scoperto più tardi che una buona parte di quelle pazienti si comportavano così perché erano pagate dai suoi colleghi, invidiosi del suo successo. Anche l’attrice Sarah Bernhardt veniva ad assistere  a queste dimostrazioni e ne prendeva poi ispirazione per le scene drammatiche in teatro. Al museo dell’Assistance publique, al 47 del quai de la Tournelle, c’è il catalogo di una mostra che era stata organizzata su questo periodo, in cui era stato anche esposto il bel quadro di André Brouillet dal titolo: La leçon de Charcot, voyage dans une toile.  

La Contrescarpe – È una piazzetta dall’aria ordinata, dove è bello trascorrere una serata al tavolino di un caffè. È costeggiata da vecchie case le cui facciate somigliano a uno scenario teatrale. Al numero 1 c’è una targa che ricorda che lì c’era la taverna La Pomme de Pin, (La Pigna) dove veniva Rabelais a consumare una spalla di montone cosparsa di prezzemolo. Anche i poeti della Pléiade si riunivano qui.     
Al numero 2 della vicina rue du Cardinal-Lemoine abitava Paul Verlaine. Lavorava come funzionario al municipio e conduceva una vita molto regolare. Rientrava a casa per il pranzo e  nella bella stagione trascorreva le serate sul balcone affacciato su rue de la Tournelle in compagnia della moglie. Sorseggiava il suo caffè davanti a un panorama straordinario. Questo succedeva prima che incontrasse Rimbaud. Da quel momento, il quadro idilliaco è andato in frantumi e la sua vita è precipitata. Nel 1895, ormai alcolizzato, si trascinava da una camera ammobiliata all’altra del Quartiere latino, da uno squallido bar all’altro, tirandosi dietro a stento la sua gamba malata. È finito a vivere in una topaia al 39 di rue Descartes con la prostituta Eugénie, anche lei alcolizzata. La donna lo picchiava perchè non voleva vederlo scrivere dal mattino alla sera. La sera del 7 gennaio del 1896, mentre rientrava dal comprarsi da bere, lo ha trovato per strada nudo, ormai cadavere. Ha deciso allora di mettere a frutto la cosa a modo suo. È andata alla cartoleria Gibert a comprare degli stilo e dei portapenne e li ha messi in vendita, dicendo per ognuno che quello ‘era l’ultimo usato dal poeta’.    
Oggi, nella casa del poeta c’è un bel ristorante, che ha come insegna La Maison de Verlaine. In faccia, si trova il bar du Bateau ivre, dal nome della famosa raccolta di poesie di Arthur Rimbaud.

Al numero 71, sempre di via Cardinal Lemoine, viveva Valéry Larbaud. Nel 1921, lo scrittore aveva prestato il suo alloggio a Joyce, reduce da un’operazione agli occhi. Oggi, al numero 9 della vicina rue des Boulangers, c’è un pub irlandese chiamato Finnegan’s Wake. Il nome, che è anche il titolo dell’ultimo romanzo dello scrittore, ricorda il soggiorno di Joyce in questo luogo.
Nel dopoguerra, Hemingway ha abitato al numero 74 di rue du Cardinal Lemoine. La sua casa è oggi meta di pellegrinaggio da parte di molti turisti americani ed è inclusa nel tour detto ‘La Parigi di Hemingway’. In quegli anni, nella via passavano ancora le greggi di capre per la consegna a domicilio del latte appena munto. Al piano terra della casa di Hemingway c’era il Bal du Printemps, un piccolo caffè piuttosto sporco, dove alcune ragazze ballavano la java vache. Ford Madox Ford radunava qui i suoi amici per portarli in giro a vedere la ‘vera’ Parigi.

Da place Contrescarpe parte anche la rue Mouffetard, che “dal punto di vista della sporcizia, della sordidezza, della puzza, e anche della decrepitezza degli edifici, è una delle peggiori di Parigi. In essa, coagulati in una sorta di magma, ci sono degli straccivendoli, dei rigattieri, delle prostitute, dei magnaccia, degli scippatori, degli esseri senza età, senza sesso, coperti di cenci di un colore tendente al verde e al giallo, dei cani di ogni razza e dei topi di ogni sorta. È un brulichio localizzato, una sorta di sopravvivenza villoniana. È una via dove perdersi fra miagolii di gatti e invettive di ubriachi…” ha scritto nel 1930 Léon Daudet in Paris vecu.
Rue Mouffetard era anche animata dal mercato delle pulci e da alcuni caffè pittoreschi, fra cui il Quatre-Sergeants-de-la-Rochelle, dalle pareti annerite dal fumo delle pipe degli avventori e con i tavoli coperti da fogli di vecchi giornali.

Panthéon - Era una chiesa cattolica dedicata a sainte Geneviève prima di trasformarsi in un mausoleo dei resti mortali dei personaggi che hanno segnato la storia francese. Vi si trovano Voltaire, Marat, Rousseau, Victor Hugo, Pierre Curie e Dumas.  
Al numero 10 di place du Panthéon c’è la biblioteca Sainte-Geneviève, fondata nel 1624 sull’area del collegio di Montaigu, dove avevano studiato Rabelais, Erasmo e Calvino. Ci sono i busti di Boileau, di Corneille, di Piron e altri… Ospita il fondo di Jacques-Doucet, formato dai manoscritti di Baudelaire, Verlaine, Rimbaud, Mallarmé, Gide, Valéry, Tzara, Breton… All’angolo con rue Soufflot c’è la biblioteca Marguerite-Durand, che accoglie i tesori della letteratura femminista, fra cui i testi di Flora Tristan, di Marie Deraismes e altre.   

Val-de-Grâce - All’altra estremità della rue d’Ulm, a sud, c’è il complesso di Val-de-Grâce. Nel 1917, Louis Aragon e André Breton erano entrambi qui a espletare i loro doveri militari, nella fattispecie seguivano dei corsi di medicina al servizio dell’esercito ed è così che si sono conosciuti. Per Breton il nome del complesso evocava le foreste di Brocéliande e gli incanti della mitologia celtica. In un secondo tempo, si sono aggiunti a loro anche Soupault e Fraenkel e insieme hanno formato i quattro moschettieri del futuro surrealismo. I primi due erano nella stessa camerata e leggevano a voce alta I canti di Maldoror di Isadore Ducasse. Dall’altra parte del tramezzo, purtroppo, sentivano le urla dei soldati ricoverati, che erano diventati pazzi al fronte.

L’Odéon è stato e continua a essere un quartiere eminentemente letterario. Ci sono ancora molte librerie e molti caffè dove sostare a chiacchierare. Fra di essi, il caffé Mabillon, al numero 164 del boulevard Saint-Germain, dove il drammaturgo Arthur Adamov, sempre senza calzini, passava i pomeriggi alle macchinette mangiasoldi. Ci veniva anche il pittore e poeta Camille Bryen, infagottato in un cappotto troppo grande a declamare le sue poesie con voce stridula. Certo, oggi l’arredamento è cambiato, è moderno, e non è più possibile rimanere seduti a un tavolino per un intero pomeriggio davanti a un caffè, ma è rimasta una certa atmosfera.

Jardin du Luxembourg – Il parco è stato meta, nei secoli, di passeggiate di scrittori, di poeti, di pittori, oltre che di professori e di studenti. “Se ci fossero dei pappagalli sugli alberi parlerebbero latino!” scriveva Jules Vallès nel 1883, nel suo Tableau de Paris, per indicare l’atmosfera colta che vi si respirava. E, a proposito di pennuti, Flaubert, nella sua  Education sentimentale, descrive Frédéric Moreau nell’atto di imitare il canto del gallo per avvertire del suo arrivo l’amica che lo attendeva in rue de Fleurus e con cui si era messo d’accordo. Purtroppo, l’unico risultato ottenuto è stato quello di scatenare i galli della zona con i loro rumorosi chicchiricchì.
Il parco ospita i busti di Flaubert, di George Sand, di Stendal, di Baudelaire, di  Saint-Beuve, di Paul Verlaine e di altri scrittori celebri... André Gide lo considerava alla stregua del palcoscenico di un teatro. I primi a entrare in scena, la mattina, erano i giardinieri, persone grigie senza sesso né età, che spazzavano i viali, bagnavano l’erba e toglievano i fiori secchi dai vasi… Poi arrivavano le governanti e le balie in divisa, piene di nastri e nastrini su cuffie e camicie, che spingevano le carrozzine sulla ghiaia... A mezzogiorno giungevano le operaie con in mano un panino da consumare sulle panchine. Più tardi venivano i ragazzi e le ragazze, che un po’ si cercavano, un po’ si sfuggivano… All’inizio del concerto comparivano gruppi numerosi, a cui si univano le commesse, man mano che uscivano dai negozi... La sera c’erano gli amanti, che si abbracciavano nel buio o si dicevano addio fra le lacrime. Il rullio dei tamburi, infine, indicava che il parco stava per chiudere e che bisognava uscire.

Rue de Tournon - “È la più italiana delle vie parigine” diceva Moravia. Di sicuro è una via ricca di evocazioni letterarie. Al numero 2, all’angolo con rue Saint-Sulpice, c’era l’hotel Châtillon dove, fra il 1827 e il 1830, ha abitato Balzac. Al numero 4 abitavano Alphonse de Lamartine e Jules Renard, al numero 5 abitava Jacques-René Hébert, rappresentante dell’ala più radicale della Rivoluzione francese e fondatore della rivista Le Père Duchesne. In tempi più recenti, ovvero a partire dal 1910, in questo stabile ha abitato la famiglia di Jacques Prévert. Era il quarto trasloco che facevano in tre anni, per i problemi finanziari del padre. Al numero 7 c’era l’Hôtel du Sénat, che era un ostello per studenti. Vi ha abitato anche il giovane Alphonse Daudet, che aveva come vicino di stanza Léon Gambetta, futuro Primo Ministro di Francia. Gambetta aveva fretta di laurearsi e di cominciare a guadagnare per potersi comprare un occhio di vetro da mettere al posto di quello mancante. Al numero 18, fra il 1937 e il 1939 ha abitato lo scrittore austriaco Joseph Roth, che, essendo di origine ebrea, si era rifugiato nella capitale francese. Vi è morto a soli 45 anni per l’eccessivo uso di alcool.  

All’angolo di rue Vaugirard, c’era il ristorante Foyot, considerato da Léon Daudet un tempio della gastronomia. Robert de Montesqiou vi invitava lo squattrinato Paul Verlaine, ma l’aspetto da barbone del poeta scandalizzava i clienti facoltosi del locale. Il direttore li avrebbe volentieri mandati via entrambi, dato che anche il look di Montesqiou non passava inosservato. Da quel dandy eccentrico che era, amava infatti ricoprirsi di perle rosse e di ortensie blu…. In una stanza sopra al ristorante, il 12 dicembre del 1923 è morto lo scrittore e poeta Raymond Radiguet. Aveva vent’anni e viveva con Bronia Perlmutter, che, secondo Jean Cocteau, gli era stata ‘fatale’. In realtà Radiguet è morto di febbre tifoidea, dopo una vita sregolata iniziata da adolescente. Il suo libro più famoso – reso tale anche grazie al bellissimo film interpretato da Gérard Philipe – è Le diable au corps.

Saint-Sulpice - “Saint Sulpice! I grossi campanili, i manifesti sulla porta, i ceri fiammeggianti all’interno….” scriveva Henry Miller nel 1928 in Tropico del Cancro. All’esterno, sulla piazza, il mormorio delle voci, lo sciabordio della fontana, il tubare dei piccioni… Al numero 8 di place St. Sulpice, all’angolo di rue des Canettes, c’era – e c’è tuttora - il cafè de la Mairie, luogo di ritrovo degli scrittori. I surrealisti lo apprezzavano molto anche per il dehors e lo frequentavano in gran numero.
Sul lato sud della piazza, di fianco al seminario di Saint-Sulpice, c’era l’albergo di mademoiselle Céleste, che, riguardo la disciplina e il rispetto degli orari, era gestito con una severità quasi maggiore di quella del collegio dei chierici. Nella vicina rue Férou nel 1871 c’era la sede del giornale rivoluzionario L’Atelier. Nei suoi uffici, Eugène Pottier ha composto L’Internazionale, un canto diventato popolare in tutto il mondo.

Alexandre Dumas ha collocato le abitazioni dei Tre Moschettieri nei dintorni della piazza. “Capitava di incontrare gli inseparabili, che si cercavano, fra il Luxembourg e place Saint-Sulpice…”. D’Artagnan abitava nell’attuale rue Servandoni. Dumas viveva in square d’Orléans, vicino al teatro dell’Odéon, dove venivano rappresentate con successo le sue commedie.        
Nel dopoguerra le caves di Saint-Germain-des-Prés erano diventate molto famose. Esse erano nate durante l’occupazione, vi si tenevano le riunioni clandestine. I locali hanno poi ospitato gli artisti dell’esistenzialismo, i concerti di musica jazz, la letteratura di protesta. Tuttavia, già nel 1729 a Parigi c’erano dei piccoli ristoranti, i Caveaux, dove gli scrittori si ritrovavano una volta la settimana per la cena, nel corso della quale si sottoponevano i propri testi al giudizio degli altri commensali. Solo dopo si era liberi di pubblicarli. I bocciati potevano bere solo acqua, i promossi pasteggiavano a vino. Un locale tuttora in attività, che ha conservato la cave nel seminterrato è Chez Georges, al numero 11 di rue des Canettes.
Al numero 43 di rue de Seine, all’angolo con rue Jacques-Callot, c’è il café de la Palette, dove andava anche Moravia, che alloggiava nel vicino hotel du Pont-Royal. Il bar di questo hotel, senza ingressi sulla strada, è immerso in un’atmosfera ovattata ed è un luogo ideale per parlare di letteratura.

Uno dei caffè letterari più famosi di Parigi, tuttora esistente, era stato aperto nel 1684 dal siciliano Francesco Procopio dei Coltelli al numero 13 di rue de l’Ancienne Comédie, proprio di fronte al teatro. In origine, esso era la buvette degli attori e dei commediografi. Ci sono venuti La Fontaine, Voltaire, Marivaux, Beaumarchais, Diderot e d’Alembert. Questi ultimi due hanno avuto proprio qui l’idea dell’Enciclopedia. Nell’800 era il luogo d’incontro di George Sand, de Musset, Daudet, Huysmans, Verlaine e altri. La facciata posteriore, in cour Commerce-Saint-André, è ornata dai ritratti dei filosofi che hanno contribuito alla gloria del caffé. In una delle case della via c’era la tipografia dove Marat stampava L’Ami du peuple.
Rue des Grands-Augustins - Fra i personaggi celebri legati a questa via c’è il regista Jean-Louis Barrault, ma il più famoso di tutti è Picasso, che abitava al numero 7 della via. Nel 1937 il pittore aveva installato il proprio atelier al Grenier e da qui andava a mangiare cena al bistrot Catalan. Ogni mercoledì, egli si trovava con Eluard, Leiris, Baudin al piano rialzato del locale. A volte il gruppo scriveva sulla tovaglia delle frasi rivolte ai compagni e non sempre erano frasi gentili. Sembra che Gertrude Stein abbia usato questo mezzo per insultare Picasso, per quello che aveva scritto nella sua commedia surrealista Le Désir attrapé par la queue….   Il pittore ha anche chiesto al fotografo Brassaï di immortalare il gruppo, che proprio qui aveva creato la moda di utilizzare le tovaglie per scriverci e disegnarci.

Saint-Germain-des-Prés - Nel dopoguerra, Saint-Germain-des-Prés era il luogo privilegiato della bohème artistica e dell’élite intellettuale. I caffè erano pieni di filosofi e di scrittori. I più famosi sono stati il Flore e il Deux Magots, dove andavano Sartre e de Beauvoir e il Lipp, dove andava Léon-Paul Fargue… Ma ce n’era un altro, meno conosciuto ma affascinante, la 57 Rhumerie, situata al numero 166 del boulevard Saint-Germain-des-Prés e inaugurata nel 1931, in occasione dell’Esposizione coloniale. Gli scrittori vi si recavano a respirare il profumo del rum delle isole, a gustare la crema di guaiava, l’elisir di banane, il punch alla cannella e alla vaniglia, seduti sulle sedie di giunco. Seguivano con lo sguardo i movimenti sinuosi delle donne nere avviluppate nei boubou e fantasticavano di luoghi esotici e lontani. L’atmosfera è rimasta uguale anche oggi, si può venire a gustare un caffè corretto al rhum o un cocktail Planteur St.James…
Prévert abitava in rue de Seine, come racconta lui stesso in una sua poesia. Antonin Artaud, invece, abitava in rue Jacob e Boris Vian aveva casa in rue de Buci. Al numero 8 del boulevard des Invalides, a partire dal 1868 ha abitato, con la moglie, la madre e le sorelle, lo scrittore Leconte de Lisle. Qui riceveva il gruppo dei Parnassiens, di cui faceva parte.  

Al numero 36 di rue de Grenelle c’è il ristorante La Petite Chaise, che era frequentato da Huysmans, Toulouse-Lautrec e da Brillat-Savarin, che ne aveva commentato per scritto il menu. Vidoq dava appuntamento qui ai suoi informatori. Il locale, con la sua insegna di ferro battuto, esiste dalla metà del ‘600 ed è uno dei più vecchi della capitale.
Nel 1920 James Joyce 58-59 e la moglie si erano installati in un piccolo hotel al numero 9 di rue de l’Université. Nella stanza non c’erano tavoli, così lo scrittore si creava un ripiano su cui scrivere appoggiando una valigia sulle ginocchia. Con la famiglia andava a mangiare al ristorante chez Michaud, da lui definito pessimo.  

In un hotel al numero 13 di rue des Beaux-Arts il 30 novembre del 1900 si è spento Oscar Wilde. A seguire il suo feretro verso in cimitero di Bagneux, oltre ad Alfred Douglas e a Robbin Ross, c’erano i proprietari dell’albergo che avevano fatto preparare per il carro funebre una corona con la scritta ‘Al nostro inquilino’.   
Montparnasse - Fino alla Seconda Guerra Mondiale Montparnasse ospitava molti artisti e scrittori.
C’era Modigliani, Tanguy, Masson, Mirò, Duhamel, Aragon, Breton... I gruppi prendevano il nome delle vie in cui si riunivano. C’era il gruppo di rue Blomet, quello di rue du Château e quello di rue Fontaine. Alcuni di loro avevano scoperto il Bal nègre (oggi si chiama Bal Blomet), al numero 33 di rue Blomet, un dancing popolare frequentato da coppie di antillani. Vi andavano Cocteau, Gide, Henry Miller, Man Ray e Scott Fitzgerald, alla ricerca di sensazioni esotiche.

Al numero 11bis di Rue Delambre, al centro del quartiere di Montparnasse, c’era il bar Rosebud, che era il rifugio dei poeti e scrittori nottambuli. Gli avventori si scambiavano impressioni appassionate e tenevano conversazioni erudite… In passato il locale era frequentato da Sartre, de Beauvoir e dal loro gruppo di amici. Nel 1872 Arthur Rimbaud abitava in una mansarda di rue Campagne-Première, insieme al pittore e caricaturista Jean-Louis Forain. Quest’ultimo, soprannominato gavroche, ovvero monello, ha raccontato di aver resistito solo un paio di mesi alla coabitazione con il poeta, che era sempre ubriaco e non si lavava.  

A partire dal 1924, Hemingway ha abitato al numero 113 di rue Notre-Dame-des-Champs. Frequentava i bistrot di Port-Royal e la Closerie-des-Lilas, dove trovava Dos Passos e Fitzgerald. Nel suo libro Parigi è una festa egli racconta i suoi anni a Parigi, quando era ‘povero e felice’… Descrive le persone che frequentava, fra le quali Gertrude Stein, Ford Madox Ford e Scott Fitzgerald. Quest’ultimo gli parlava per ore dei suoi problemi con gli editori e della sua difficile situazione economica… Al numero 70 bis della stessa via abitava Ezra Pound, che di notte si metteva nudo alla finestra, con in mano una candela, e declamava a voce alta i suoi Cantos. Il poeta guadagnava qualche soldo correggendo i manoscritti di Hemingway… Henry Miller abitava al numero 101 di rue de la Tombe-Issoire, a villa Seurat, un’impasse di piccole case di diverso colore. Lo scrittore occupava una stanza dalle grandi vetrate, all’ultimo piano dell’edificio, insieme ad Anais Nin.

Halles -  Zola ha abitato in molte zone diverse della capitale. Egli traslocava di frequente al solo scopo di poter osservare da vicino i cambiamenti dei diversi quartieri, per poi utilizzare questa conoscenza nei suoi libri. Lo ha fatto, ad esempio, per molti episodi della storia dei Rougon-Macquart, che si svolge fra la Bourse, la Goutte-d’Or, l’Opéra e altre zone... Zola seguiva con interesse le demolizioni di Haussmann, l’apertura dei grandi magazzini, le lotte della Comune, l’attività delle Halles, dove andava di notte. Il romanzo che ha ambientato in questo grande mercato si chiama ‘Il ventre di Parigi’ ed è un inventario metodico del luogo, un immenso affresco dettagliato. Nelle sue visite notturne alle Halles, Zola si trovava accanto i signori che venivano qui dopo il teatro, i festaioli in abiti eleganti con il fiore all’occhiello, le donne impellicciate in abito da sera che venivano a mangiare una scodella di zuppa di cipolle, accanto ai macellai in pausa, con gli abiti grondanti di sangue per aver trasportato sulle spalle dei quarti di bue.

Châtelet - All’alba di venerdì 26 gennaio 1855, in rue de la Vieille-Lanterne, che non esiste più, ma che si trovava fra place du Châtelet e il ponte di Notre-Dame, è stato ritrovato il corpo di Gerard de Nerval appeso a una ringhiera davanti al negozio di un fabbroferraio. Aveva ancora in testa il cilindro e, da questo dettaglio, Dumas ha osservato che la sua agonia doveva essere stata dolce.
Alle due di quella notte, Nerval aveva cercato rifugio in un vicino tugurio per vagabondi, ma a quell’ora la titolare non gli aveva aperto. C’erano 18° sotto zero e il poeta deve aver pensato che la sua vita raminga e miserevole non valeva più la pena di essere vissuta…  
In passato, la vicina rue Saint-Martin, che parte dal Centre Pompidou in direzione nord, era la via che portava dalla Cité ai terreni di caccia della foresta di Rouvray. In senso inverso, la percorreveno i pellegrini venuti dal nord che si recavano a Santiago de Compostela. Vi ha abitato Nicolas Flamel in una casa tuttora esistente, che è considerata la più vecchia di Parigi.

Madeleine - Il quartiere della Madeleine è legato al nome di Proust, che da bambino abitava nel palazzo al numero 9 del boulevard Malesherbes. Nel parco degli Champs-Elysées incontrava la figlia di un nobile polacco, che gli ha poi suggerito alcuni tratti per Gilberte Swann, una delle protagoniste della Recherche. La famiglia si è poi trasferita al numero 45 di rue de Courcelles e, alla morte dei genitori, lo scrittore ha traslocato al numero 102 di boulevard Haussmann. dove ha fatto foderare la stanza di sughero per attutire i rumori. In primavera non apriva mai la finestra per non far entrare il polline che gli avrebbe scatenato una crisi d’asma.
Quando si recava all’hotel Ritz di place Vendôme arrivava verso le nove di sera e si fermava fino alle due. Colette lo descrive vestito di un cappotto foderato di pelliccia aperto su un frac con lo sparato bianco e la cravatta di batista. In testa aveva un cappello a cilindro per proteggersi dal freddo.  Mangiava in una stanza separata con alcuni amici e spesso chiedeva un bicchierino di grappa d’uva.

Il Ritz era frequentato anche da Hemingway, che però preferiva lo Harry’s -  dal nome di Harry Mac Elhone che lo aveva rilevato nel 1913 - situato al numero 5 di rue Daunou. Sullo scrittore americano circolava la battuta che, più che liberare Parigi dal nemico, aveva liberato le cantine parigine dal loro prezioso contenuto. Il famoso ristorante Maxim’s, al numero 3 di rue Royal, era frequentato, fra gli altri, da Drieu la Rochelle. Un giorno di agosto del 1914, uscendo dal locale, aveva visto che all’ingresso del Ministero della Marina, posto di fronte, era stato affisso il manifesto della mobilitazione generale. Durante l’occupazione, la Rochelle ha continuato a frequentare il ristorante, in compagnia di ufficiali tedeschi.  
Dal 1790, in una piccola casa con giardino in rue Neuve-des-Mathurins, all’angolo con rue de la Ferme-des-Mathurins, abitava il marchese de Sade. Secondo le sue parole, egli vi conduceva l’esistenza virtuosa di un curato, i ‘piaceri impuri’ essendo ormai lontani. L’8 dicembre del 1793 ‘il cittadino Desade’ è stato arrestato in questa casa e condotto alle Madelonnettes.

Alla Bastille in omnibus - Dalla Madeleine partiva un servizio di omnibus detto Madeleine-Bastille per via del suo itinerario. Nel 1880, a proposito di questo percorso, Maupassant aveva scritto che se a Chateaubriand era bastato un libro per raccontare l’itinerario da Parigi a Gerusalemme quanti volumi sarebbero necessari per raccontare un viaggio dalla Madeleine alla Bastiglia?
In rue Richelieu hanno abitato molti scrittori illustri, da Andrea Chénier a Molière a Diderot. In una casa di  questa via, poi demolita, Stendhal ha scritto ‘Il Rosso e il Nero’. Anche nella vicina rue Chabanais, famosa per la maison close omonima, c’erano diversi locali, fra i quali la Paste, frequentati da scrittori.
Al numero 2 di rue Vivienne c’era – e c’è tutt’oggi – la brasserie Au Grand Colbert, che in alcune occasioni ha mantenuto la tradizione di offrire, nel suo splendido décor, dei menu letterari dedicati a scrittori del passato e a opere celebri. C’è il brasato di manzo con lardo e cipolla, del Cugino Pons, c’è il marzapane di Issoudun, patria della Raboilleuse (la ragazza che agita l’acqua del ruscello con un bastone per far salire in superficie i gamberi), c’è il vitello in umido descritto da Zola nell’Assommoir, c’è il sorbetto al tè servito con la madeleine, in ricordo di Proust, c’è lo stufato di pollo al vino della signora Maigret…

All’angolo di rue de Rivoli e rue de Castiglione c’era la Bodéga, che era il luogo d’incontro degli anglosassoni che vivevano nella capitale. E nei giorni di pioggia o di bruma, il quartiere vicino alla Senna in cui c’era il locale,  dove arrivavano i rumori e i suoni dei rimorchiatori in movimento sul fiume, poteva far ricordare Londra.
Tuileries - Alla fine dell’800, gli Champs-Elysées rappresentavano ancora il confine estremo della capitale, ma negli anni successivi essi sono diventati l’inizio di nuovi quartieri. La capitale si allargava verso ovest, dove c’erano nuovi spazi, nascevano l’Etoile e le Tuileries. Ma questi quartieri non hanno mai avuto la vivacità letteraria conosciuta, ad esempio, da Saint-Germain.
Dopo essere stato alle Tuileries, Baudelaire ha descritto la folla di paria che premeva contro le cancellate quando nel parco c’era un concerto e cercava di afferrare qualche pezzo della melodia suonata. I ricchi e gli aristocratici che erano seduti all’interno, invece, “stanchi di non aver fatto nulla” secondo la frase del poeta, avevano sul viso un’espressione di noia e di insofferenza.

Bois de Boulogne – I boschi di alberi di alto fusto, le grotte, i prati, le rocce, i ruscelli, i laghetti con le abetaie sui bordi, lo stagno attiravano Marcel Proust, che ci veniva a osservare le piante che in natura crescono in ambienti lontani fra loro. Alla Porte Maillot, nell’angolo nord ovest del parco, c’era un Luna Park, descritto da Raymond Queneau in Pierrot mon ami, dove venivano anche i surrealisti. In particolare ci veniva André Breton, che si divertiva come un bambino al tiro a segno, sulle montagne russe, davanti agli specchi deformanti e nel labirinto dei misteri, dove le visioni horror si alternavano ai quadri bucolici.

Passy – Nel 1752 Rousseau abitava in una casa al numero 21 della rue Berton, dove ha scritto Le Devin du village, un intermezzo buffo di cui aveva scritto anche la musica. Era una strada piccola, fra due muri ricoperti di verde, in un quartiere a quel tempo bucolico. Esso è stato stato cantato anche da Apollinaire, che, il 10 maggio del 1916, disgraziatamente, proprio in un ospedale di questa via avrebbe subito la trapanazione del cranio. Il poeta, infatti, era stato ferito alla tempia dallo scoppio di un obice mentre era in trincea durante la Prima Guerra Mondiale. Al numero 19 di rue Raynouard abitava Balzac, mentre Maxime du Camp, amico di Flaubert, abitava al numero 19 dell’Hameau de Boulainvilliers. Al numero 17 di rue d’Ankara c’era la clinica Folie-Sandrin del dottor Esprit, che ha ospitato anche Gérard de Nerval. La prima volta lo scrittore vi era giunto in preda a un delirio furioso, la seconda volta è rimasto qui poco tempo, ma qualche giorno dopo ha posto fine alla sua vita. Un altro ospite illustre è stato Guy de Maupassant, che è morto dopo un anno e mezzo che era qui. Era convinto che le cure dei medici avessero peggiorato le sue condizioni e che la morfina gli avesse causato dei buchi nel cervello.

Auteuil – Verso la fine dell’800 Auteuil era una distesa di verde. Una delle ville era quella della contessa Potocka, che aveva bisogno di spazio per i suoi molti cani. Quando Chateaubriand è venuto a trovarla, non era troppo entusiasta del luogo. “C’è qualcosa che sia degno di visita nei dintorni?” le chiedeva dubbioso e perplesso.
Proust veniva ad Auteuil d’estate, da ragazzo, con i genitori, ospiti di un prozio in rue La Fontaine. La costruzione dell’avenue Mozart ha segnato la fine del giardino in cui il giovane Marcel raccoglieva le fragole. Auteuil ha attirato anche altri scrittori, in particolare quelli che disponevano di mezzi. Fra di essi c’era Boileau, che aveva acquistato una proprietà. Molière, invece, si accontentava di una camera all’albergo al Mouton Blanc, mentre Racine aveva un piccolo pied-à-terre.
I fratelli Goncourt avevano acquistato una casa al numero 53 del boulevard de Montmorency. Volevano essere lontani dai rumori del centro senza essere troppo in periferia. Dalle finestre avevano una bella vista sul monte Valérien e sulla foresta di Meudon. Purtroppo, Jules Goncourt è morto poco dopo essersi trasferito qui. Il locale più famoso della casa era il grénier, una mansarda al secondo piano, dove la domenica pomeriggio si ritrovavano Zola, Daudet, Maupassant, Huysmans, Gautier e altri….          

Les Grands Boulevards - Nell’800 la capitale si è sviluppata lungo i boulevard Malesherbes,  Haussmann, des Capucines, Montmartre, des Italiens…Di quest’ultimo de Musset diceva che era un luogo gradevole e molto frequentato, dove c’erano dei ristoranti, dei caffè, dei teatri e delle case da gioco. Il locale più famoso era la gelateria Tortoni, la prima a proporre il gelato italiano. De Musset veniva a gustarlo vestito elegantemente con una giacca blu dai bottoni dorati, dei pantaloni grigi e con il cappello sempre in testa. Sul boulevard c’era un altro locale celebre, il café Riche, aperto nel 1785, dove venivano i giornalisti che si opponevano al regime. Ci venivano anche Baudelaire, Flaubert, Zola e Daudet, che si divertivano a definirsi degli autori falliti, perché erano tutti reduci dall’aver scritto un libro che non aveva avuto successo. Nel 1889, questo era il quartiere generale del boulangisme, il movimento che si era formato attorno al generale riformista Boulanger.

Boulevard Montmartre e i Passages - Questo boulevard aveva ispirato a Balzac due iniziative commerciali. Lo scrittore era sempre alla ricerca di nuovi modi per far soldi e poter pagare i debiti, così ha pensato di aprire un negozio tutto nero filettato d’oro in cui vendere delle piante di ananas, coltivate altrove. La seconda prevedeva l’apertura di un caffè, nel quale George Sand lavorasse alla cassa e Théophile Gautier servisse ai tavoli, con tanto di tovagliolo inamidato sul braccio. Balzac pensava di fare il maître. Sembra però che i due scrittori non fossero entusiasti di lasciare la scrittura per mettersi a lavorare in un bar. Nessuno dei due progetti è andato in porto eBalzac ha dovuto rinunciare alle sue idee di guadagno. Al numero 6 del boulevard c’era l’elegante café de Madrid, frequentato assiduamente da Daudet, oltre che da altri scrittori.

Al numero 3 della vicina rue Le Peletier, all’uscita del passage de l’Opéra, c’era il café le Divan, frequentato da Nerval, Berlioz, Gautier, Dumas, Nadar. Poi, è arrivata la ‘basse-bohème’, secondo la definizione dei fratelli Goncourt, e il locale si è degradato. Si dà il caso che quest’ultima fosse composta, fra gli altri, da Baudelaire e Manet.
Il passage Jouffroy e il passage Verdeau erano frequentati dagli ‘Aragonautes’, ovvero i surrealisti, che vi organizzavano delle vere e proprie esplorazioni, poi trasferite nei libri. Louis Aragon, nel suo Anicet, trasforma il luogo in un posto macabro e misterioso: la vetrina di un ortopedico è piena di corpi fatti a pezzi, il negozio di un imbalsamatore è invaso da esseri frammentati, le operaie di una bottega cercano di domare le macchine da cucire trasformatesi in bestie feroci... All’ingresso del passage c’è un orologio a pendolo con le lancette bloccate, che simboleggiano il tempo perduto e ritrovato.

Nel passage Panorama c’era l’entrata degli artisti del teatro des Variétés. Davanti all’ingresso c’erano “dei negozi bui, una calzoleria senza clientela, dei depositi di mobili polverosi, un gabinetto di lettura pieno di fumo”… Qui il conte Muffat attendeva Nana, come racconta Zola nel romanzo omonimo. La trasposizione teatrale del romanzo veniva rappresentata proprio in questo teatro. Dopo lo spettacolo, gli spettatori si riversavano al ristorante Brébant, al numero 32 del boulevard Poissonnière, dove si poteva cenare fino alle quattro del mattino. Questo locale era famoso anche per le sue serate letterarie.

Butte Montmartre – La collina di Montmartre oggi è piuttosto turistica, ma è un luogo che ha avuto un’importante vita letteraria e artistica, documentata in modo avvincente al museo del Vieux Montmartre. Gérard de Nerval ha descritto molto bene il paesaggio bucolico della metà dell’800, poi scomparso a causa dell’incremento demografico. Oggi i mulini, i pergolati, le viuzze silenziose costeggiate da casette con il tetto di paglia, i fienili, i giardini fitti di arbusti, le pianure verdi interrotte da precipizi, le sorgenti che filtrano attraverso l’argilla, “le capre che brucano l’acanto e le ragazzine dallo sguardo fiero e dal piede montanaro che le sorvegliano giocando fra di loro” non ci sono più. Nerval paragonava questo paesaggio a quello della campagna romana…

In cima alla ripida rue Mont Cénis c’era la casa del compositore Hector Berlioz, che non esiste più perché era cadente. Francis Carco la descrive così: “L’erba cresceva ai piedi della facciata decrepita e nelle fessure del selciato, che aveva ceduto nella parte centrale dove c’era un rigagnolo. Sopravviveva un resto di marciapiede. La bicocca era disabitata e cadeva in rovina. Se si apriva la porta con una spallata si scorgeva una specie di frutteto in pendenza, in stato di abbandono. Le persiane, tarlate e con la vernice scrostata, erano fissate alle finestre dai vetri rotti con dei pezzi di fil di ferro. L’aspetto di quella casa mi stringeva il cuore. Avrebbero dovuto restaurarla e classificarla monumento storico…”. Purtroppo, il nobile desiderio di Carco non è mai stato esaudito e la casa è stata rasa al suolo per lasciare il posto a un grande palazzo. Sulla sua facciata c’è una targa che ricorda che lì viveva un grande genio musicale.  
Come i personaggi dell’Assommoir di Zola, che conoscevano tutte le bettole di Montmartre, anche i poeti di inizio Novecento vi si ritrovavano, mescolandosi ai nottambuli. Fra di essi c’era Courteline, che era del posto. Egli andava tutti i giorni al café Clou a bere un précipité di Pernod. Ne approfittava per annotare le sciocchezze dette dagli avventori, che poi metteva in bocca ai personaggi dei suoi romanzi. Erik Satie e Max Jacob, che avevano qualche soldo in più, andavano al ristorante Bouscarat in place du Tertre, a bere un bicchiere di vino d’Anjou, servito fresco in piccole brocche.

Oggi, molti turisti che salgono a Montmartre si fanno fotografare accanto alla statua di bronzo del passe-muraille, su piazza Marcel-Aymé, forse senza sapere chi essa rappresenti. L’uomo che attraversa i muri è il personaggio di un romanzo di Marcel-Aymé, dal titolo La Jument verte. Lo scrittore abitava nel palazzo che si trova di fianco alla statua. Egli andava regolarmente chez George, su place du Tertre, a giocare a domino. Nel suo libro Aymé scrive: “Al terzo piano del 75 bis di rue d’Orchampt c’era un uomo chiamato Dutilleu, che possedeva il dono singolare di passare attraverso i muri senza il minimo inconveniente.” Aymé ha attribuito dei nomi di fantasia alle strade della Butte, fra di esse ci sono la rue du Chat-perché e la rue des Cartes-du-temps.   
Uno degli edifici più famosi di Montmartre è il Bateau Lavoir. Il soprannome di battello-lavatoio gli era stato dato perché, per raggiungere i vari piani, si doveva scendere anziché salire. Ci ha vissuto anche Picasso, che nel 1908 vi aveva organizzato un banchetto in onore del doganiere Rousseau.  Nel 1970 l’edificio era stato completamente distrutto da un incendio, si era salvata solo la facciata grigia su place Goudeau.    

A Montmartre c’erano alcuni cabaret, fra cui lo Chat Noir, reso celebre dallo chansonnier-poeta Aristide Bruant, immortalato in un manifesto da Toulouse-Lautrec. Un altro cabaret, tuttora esistente, è il Lapin Agile, deformazione della frase Lapin à Gill, che indicava il coniglio dell’insegna dipinto da André Gill. All’interno, nella grande sala con il camino, si riunivano molti poeti a recitare i loro versi. Partecipava anche l’attore Charles Dullin che declamava Baudelaire e poi faceva il giro con il cappello in mano per la colletta. Sul boulevard de Clichy c’era il bar Néant, i cui avventori bevevano le loro birre su dei tavoli a forma di bara, avendo sopra la testa dei lampadari fatti con ossa umane.

Batignolles -  Il villaggio di Batignolles, annesso alla capitale nel 1860, era chiamato la Montmartre d’en bas perché i pittori squattrinati abitavano qui. Gli affitti erano bassi, le case erano vicine ai caffè della bohème e agli atelier delle modiste impiegate da loro come modelle. Sulla Grand-Rue des Batignolles si ritrovavano Degas, Monet, Renoir, Pissarro e Manet, agli inizi della loro professione. Ci veniva anche Zola, insieme ad altri scrittori.

Place de Clichy – La piazza è la protagonista del libro di Henry Miller ‘Giorni tranquilli a Clichy’. Lo scrittore abitava lì vicino e la sua attenzione era attirata, fra l’altro, dalle prostitute che lavoravano attorno alla piazza. Davanti al Gaumont Palace ce n’era una con una gamba di legno, altre aspettavano i clienti davanti ai piccoli hotel, mentre i protettori giocavano a carte dentro ai caffè. “Su di un lato di place de Clichy si trova il caffè Wepler che è stato a lungo il mio rifugio preferito. Mi sono seduto sulla terrazza e all’interno, con ogni tempo e a qualsiasi ora del giorno e della notte. Era per me un libro aperto. Tutti i  visi - dei camerieri, dei gestori, delle cassiere, delle puttane, della clientela e persino delle donne addette ai gabinetti – sono incisi nella mia memoria come le immagini di un libro che abbia sfogliato tutti i giorni.” Lui ci era entrato per la prima volta nel 1928.
Anche place Blanche era un luogo letterario perché c’era il grande café Cyrano, frequentato dai surrealisti, che ne amavano l’atmosfera calma.
Nel 1922 André Breton era venuto ad abitare in rue Fontaine, sopra al cabaret du Ciel et de l’Enfer, sulla cui facciata c’erano le caricature dei mostri di Bomarzo. Nell’appartamento pieno di sculture africane e dell’Oceania riceveva i suoi amici surrealisti..
Nel 1881, al numero 84 del boulevard Rochechouart, era stato aperto il cabaret Chat Noir, i cui camerieri erano travestiti da accademici. Al vicino Cigale, invece, Jean Cocteau si esibiva nel ruolo di Mercuzio, in un adattamento da lui curato del Romeo e Giulietta di Shakespeare.   

Saint Lazare - Proust definiva la stazione Saint-Lazare, punto di partenza dei treni verso i porti del nord e verso le nebbie di Londra, un ‘atelier vitré’. Lui ci andava a prendere il treno per Balbec. Paul Verlaine ha soggiornato all’Austin Hôtel, posto di fronte. Stava seduto a un tavolino vicino alla finestra del bar a bere della birra forte e guardava la pioggia attraverso i vetri. All’hôtel Terminus, invece, ha soggiornato per più di trent’anni il commediografo George Feydeau. Aveva abbandonato la giovane e bella moglie perché, diceva, non trovava mai nulla da dirle.
        
La Nouvelle Athènes – Nel 1820 il quartiere di Saint-Georges è stato soprannominato la Nouvelle Athènes, per il numero di scrittori, artisti, gente si teatro, musicisti e intellettuali che erano venuti ad abitarvi.
Marais - Per il quartier du Temple, la place de Vosges e il quartier Saint Paul, che sono abbastanza diversi fra di loro, ma sono tutti compresi nel Marais, il XVII secolo è stata l’età d’oro. Nel 1600, l’allora place Royale, oggi place de Vosges, era stata risistemata e vi erano stati costruiti degli splendidi palazzi. In uno di questi, madame de Necker riceveva Diderot e gli Enciclopedisti. In rue de Beauce e in rue de Tournelles, invece, c’erano i salotti delle ‘femministe’, dove si trattavano i temi delle unioni libere, del maltusianesismo e dell’eugenetica. Ninon de Lenclos accoglieva le donne di lettere nella sua famosa camera gialla. In questo quartiere, nel 1626, è nata la futura Madame de Sévigné, autrice delle famose lettere. Abitava nel palazzo che oggi ospita il museo Carnavalet, che lei chiamava Carnavalette. Anche Marion de Lorme, poi trasformata da Hugo in personaggio letterario, protagonista di un suo romanzo, ha vissuto nel Marais. Questo scrittore abitava in un appartamento in place des Vosges, da cui evadeva attraverso una piccola scala per raggiungere, attraverso vicoli stretti, la panetteria detta Herse d’or. All’Erpice d’oro - questo significa infatti herse - all’angolo di rue de la Cerisaie, c’era sempre una pagnotta calda per lui. Non solo, ma i proprietari gli avevano detto che dalle cantine del loro negozio partiva un dedalo di gallerie che permettevano di raggiungere il quartiere Saint-Antoine senza mai uscire all’aperto. E per un appassionato come lui della Parigi sotterranea, questo era meraviglioso. Nel suo appartamennto lo scrittore riceveva Lamartine, Vigny, Dumas e Mérimée seduto su di un divano posto sotto a un baldacchino dorato, che proveniva dalla kasba di Algeri.  

Delle case di Place des Vosges, Gerard de Nerval, nel suo libro La main enchantée, ha scritto che “vedendo le loro facciate di mattoni rossi e le finestre incorniciate di pietra bianca, si prova la stessa venerazione di quando si è davanti ai membri del parlamento vestiti di abiti rossi con i risvolti di ermellino”. Al tempo della Rivoluzione, il Marais è diventato una zona industriale e commerciale. Il cambiamento è descritto da Alphonse Daudet, che abitava in rue Pavée e faceva lunghe passeggiate nel quartiere. “Nell’ombra umida e provinciale delle lunghe strade tortuose fluttuano degli odori di legname e di drogherie. L’industria moderna ha trasformato in fabbriche di prodotti chimici e di acqua di seltz i vecchi palazzi del tempo di Enrico II e di Luigi XIII…”
Nel suo libro Mystères de Paris, Eugène Sue ha collocato Monsieur Pipelet in una casa al numero 17 di rue du Temple. Nel capitolo dal titolo Les quatre étages, l’autore descrive l’edificio in modo ‘anatomico’, collocando su piani diversi le diverse classi sociali, sempre più emarginate man mano che si sale. Al primo piano ci sono i borghesi, al secondo c’è una cartomante, al terzo c’è un tagliatore di pietre preziose, che però è povero e così via...

A partire dal 1654, il poeta Scarron abitava in una casa all’angolo di rue de Turenne con rue Villehardouin. All’età di quarant’anni, Scarron aveva sposato la quindicenne Françoise d’Aubigné, futura Madame de Maintenon, istitutrice dei figli del re. Il poeta era storpio e deforme, ma era pieno di buonumore e di ironia. La sua opera più famosa’ infatti, è il Roman comique, in cui egli ha trasferito il proprio senso dell’umorismo. Anche quando era paralizzato a letto non voleva rinunciare a sollevare il berretto in segno di saluto verso i visitatori. Così, aveva fatto installare un sistema di carrucole che facevano salire il copricapo tirando un filo.    
Rue des Rosiers – La via sorge sul quello che era il cammino di ronda sui bastioni del muro di cinta di Filippo Augusto, dove c’erano dei roseti. A partire dal XIII secolo, su questo terreno insalubre era stato creato un ghetto, poi diventato il centro del quartiere ebraico a Parigi. Esso ha accolto l’ultima grande ondata immigratoria nel 1880, le persone che erano in fuga dai pogrom della Russia e della Polonia.
“Un tempo, attraversando il faubourg Saint-Antoine nelle sere d’estate, vedevo degli ebrei cenciosi in una piccola piazza alberata. C’erano dei vecchi, delle donne, dei bambini, delle ragazze dai capelli neri, che lavoravano su dei piccoli banchi e mostravano con tranquillità tutta la loro miseria. Era una miseria antica, con un lampo orientale...” ha scritto Anatole France.

Bastiglia - La Bastiglia può essere considerata un luogo letterario, nel senso che vi sono stati imprigionati degli scrittori e filosofi. Voltaire vi ha trascorso il 1717, quando aveva 23 anni, perché aveva scritto un pamphlet contro le figlie del Reggente. Quando è uscito ha ricevuto una pensione come risarcimento. “Altezza, la ringrazio per il vitto, ma la pregherei, in futuro, di non farsi più carico del mio alloggio.” ha scritto Voltaire al Reggente.    
Donatien de Sade ha passato ben cinque anni alla Bastiglia, dal 1784 al1789. Un giorno, il marchese aveva deciso a sobillare i passanti in strada. Così ha preso un tubo con una specie di imbuto in fondo, lo ha usato come megafono e ha cominciato a urlare delle ingiurie verso il governatore. Chiedeva alle persone all’esterno di venire a salvarlo. Ma l’unico risultato ottenuto, purtroppo è stato quello di essere trasferito a Charenton.   
Il quartiere attorno a rue du Faubourg Saint-Antoine, la via che si trova a sud di place de la Bastille, è sempre stato in tumulto. I moti che hanno portato alla Rivoluzione sono partiti da qui e sono stati gli operai delle fabbriche del borgo a dare l’assalto alla Bastiglia. Jules Vallès ha detto che il faubourg era come un cratere da dove usciva spesso una lava rivoluzionaria… .

Flaubert ha reso celebre il boulevard Bourdon, che corre lungo il canale, collocandovi la panca dei due protagonisti del suo romanzo Bouvard e Pecuchet. “Poiché la temperatura era di trentatré gradi, il boulevard Bourdon era completamente deserto.” Bouvard proveniva dalla Bastiglia, Pecuchet dal Jardin des Plantes ed entrambi si erano ritrovati per caso seduti sulla stessa panchina. Davanti agli occhi avevano il bacino dell’Arsenale, allora canale Saint-Martin, sulle cui acque scure passavano lentamente le chiatte cariche di mattoni e di legname.
Il commissario Maigret, il personaggio creato da Simenon, abitava sul quai de Bercy, dove nel pomeriggio arrivava l’ombra lunga degli alberi. Lui e la moglie si sedevano su di una panca, che, chissà perché, voltava le spalle alla Senna. Davanti a sé avevano una città strana, circondata da cancellate, dove al posto delle case c’erano dei magazzini con dei cartelli su cui c’erano gli stessi nomi che si vedono sulle bottiglie. C’erano delle strade, degli incroci, delle piazze, dei viali, proprio come in una città vera, ma, al posto delle auto, c’erano delle botti di ogni dimensione parcheggiate o in movimento.” scrive Simenon in Maigret s’amuse.  
Charles Nodier, conservatore della biblioteca dell’Arsenal, fondata nel 1797, la domenica riceveva gli artisti, gli scrittori e i filosofi nel salone della stessa. Fra i frequentatori c’era il poeta Félix Arvers, autore, fra l’altro, del famoso verso: “Mon âme a son secret, ma vie a son mystère (La mia anima ha il suo segreto, la mia vita ha il suo mistero).”.

Ménilmontant - Finora abbiamo parlato di luoghi letterari posti in zone abbastanza centrali della capitale. È vero che nel centro della città essi sono ben più numerosi che in periferia. Tuttavia, attorno a place de la Nation e alla Foire du Trône, ad esempio, la festa popolare dove si vendeva un famoso panpepato, si è esercitata la poesia popolare. Anche a Ménilmontant, a Belleville, alla Goutte-d’Or, fino ai confini della Zone, sono nati dei capolavori del romanzo popolare e della poesia marginale. Uno dei luoghi simbolici della letteratura è il cimitero del Père-Lachaise. Più che un cimitero è un giardino romantico, con i suoi obelischi, le piramidi e i molti monumenti ispirati all’antichità. Qui l’opera dell’uomo convive strettamente con quella della natura.  

Huysmans ha tracciato un quadro malinconico ma anche dolce di Ménilmontant, che lo chansonnier Maurice Chevalier chiamava Ménilmuche e che ha cantato nella Marche de Ménilmontant del 1941. “In questo quartiere immenso i magri salari condannano le donne e i bambini a privazioni eterne. Ma la rue de la Chine, la rue des Partants, la rue di Orfila, con i loro recinti di legno mal squadrati, i padiglioni ornati di rose rampicanti, i giardini deserti e inselvatichiti, dove cresce una vegetazione spontanea, trasmettono un senso di calma unico…”. La Menilmontant descritta da Huysmans, però, è sparita per sempre. I fratelli Goncourt avevano passato l’infanzia in una grande casa al numero 119 di rue de Ménilmontant, dalla facciata simile a quella di un tempio greco. “Siamo cresciuti nel castello di Ménilmontant dove viveva nostra madre, in mezzo a una schiera di cugini. Sembrava che le nostre famiglie, mescolate dentro casa e nel giardino, non dovessero mai lasciarsi…” hanno scritto.  
In una lettera del 1917, lo scrittore e poeta Max Jacob, che viveva nel quartiere, così descrive la sua giornata: “La mattina alle 7 mi reco nella chiesa di Ménilmontant e lungo il percorso scopro il villaggio più bello dell’area parigina. È selvaggio, battuto dalla tramontana che soffia sulle case e sui terreni abbandonati, piegando l’erba alta…”

Belleville – È a partire dalla fine del Secondo Impero che i romanzieri e i poeti hanno prestato agli abitanti di Belleville un linguaggio e dei costumi particolari, hanno ricreato un’atmosfera popolaresca che oggi non esiste più Il luogo è radicalmente cambiato già a partire dagli anni ’60 del Novecento, con la distruzione delle viuzze e dei piccoli giardini privati a favore di arterie più larghe e di spazi verdi pubblici più ampi, ma ancora di più è cambiato negli anni ’80 e ‘90. E’ ormai lontano il tempo in cui, nelle balere della guinguettes de la Courtille, dove si mangiava e si ballava, si cantavano le cantilene in argot, che appartenevano alla letteratura popolare. I poemi settecenteschi di Jean-Joseph Vadé, autore anche di favole e di pièces teatrali, per esempio, appartenevano a questa categoria. Nelle quarantasei pagine della sua opera  La Pipe cassée egli ha cantato i locali popolari di Belleville, fra cui il Coq-Hardi e il Boeuf-Rouge. Il poeta si ispirava al vocabolario delle pescivendole delle Halles, una delle quali aveva il soprannome di madame Saumon. Per questo lui era soprannominato il Corneille delle Halles e il suo era definito un genere poissard. Certo, lui attribuiva ai personaggi delle sue opere delle espressioni triviali, ma, dietro ad esse, faceva intravedere un loro pensiero morale, non li metteva mai in ridicolo. Uno scrittore che ha descritto l’aspetto bon enfant della Belleville popolare, ma anche quello triste degli anni dell’occupazione, è Clément Lépidis, nel suo Des Dimanches à Belleville. Lo scrittore e regista Georges Perec, nato nel 1936 a Belleville da genitori ebrei, ha abitato in rue Valin per tutta la sua infanzia e ha continuato a tornarci, fino a quando la via non è stata completamente rasa al suolo.  
Ricordiamo anche che a Belleville sono stati girati diversi film famosi, fra cui Casque d’or e Jules et Jim, di Truffaut.       

L’Assommoir – Assommoir vuol dire bettola e nell’800 questo era il nome del locale di père Colombe, posto all’angolo di rue des Poissonniers, sulla cui insegna c’era la parola ‘Distillation’ a grandi lettere blu. Sul bancone all’interno c’erano file di bicchieri e di misurini di peltro. L’Assommoir è poi diventato il titolo di un’opera di Zola, che, prima di scriverne, aveva esplorato accuratamente questo quartiere insalubre e sovrappopolato. Nel descrivere la rue de la Goutte d’Or - il nome deriva da un vino bianco del posto - l’autore dice che il selciato era dissestato, che i negozi di calzolaio e di bottaio che vi si affacciavano erano bui e che sulle saracinesche di una rivendita chiusa per fallimento si accumulavano diversi strati di manifesti. La strada era l’ultima propaggine della città, al di là di essa c’erano solo i capannoni delle fabbriche  La vicina rue Marcadet viene raccontata da Zola come una via annerita dalla polvere di carbone delle vicine fabbriche, con costruzioni grigie e strutture traballanti.          

Les Buttes-Chaumont  – Nel suo Paysan de Paris Louis  Aragon descrive una passeggiata fatta in questo parco nel 1924, in compagnia di Breton e di Noll. I tre entravano nel parco, terreno pieno di sorprese e di grandi rivelazioni, di notte e percorrevano un cammino a spirale verso la cima della collina. Per loro, quel regno dell’ombra era un  labirinto iniziatico da attraversare. Avevano chiamato la passerella dei suicidi ‘il luogo della morte permessa’ e sostenevano che il parco trasmetteva loro  la stessa inquietudine di un quadro di Magritte.  
Concludiamo con un’area dell’estrema periferia, posta fuori dai bastioni fatti costruire da Thiers, descritta da Louis-Ferdinand Céline così com’era all’inizio del XX secolo, quando su quel terreno si era installata una popolazione molto povera, che vi aveva creato una specie di bidonville. L’area era chiamata la Zone e gli abitanti venivano chiamati zonards. Erano persone del popolo scacciate dal centro città dalla speculazione immobiliare, dei contadini venuti a cercare fortuna in città e diventati poverissimi. Nel suo libro Voyage au bout de la nuit Céline la descrive com’era negli anni ‘20: “…questa specie di villaggio che non arriva mai a liberarsi del fango, sprofondato nell’immondizia, costeggiato da sentieri dove le ragazzine marinano la scuola per prendere a qualche satiro venti soldi, delle patatine e la blenorragia…”.





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